Il secondo evento della storia umana che trasforma radicalmente la condizione femminile è l’evoluzione dalle economie di sussistenza e rapina, tipiche delle società arcaiche nelle quali la funzione economica centrale della donna coincide con il suo asservimento, alle economie produttive moderne. Le società preindustriali dipendono essenzialmente dai beni esistenti in natura perché i modi di produzione tradizionali, fondati sui rapporti di parentela, e le tecnologie elementari utilizzate rendono il lavoro poco produttivo. La terra, l’acqua, l’oro e alcuni altri metalli, tutti beni irriproducibili e reperibili in quantità limitate, sono le risorse che gli uomini si contendono. Per inciso, questo spiega l’origine della condanna morale della ricchezza, tuttora diffusa in certi ambienti sociali e culturali e un tempo giustificata dal fatto che effettivamente nelle economie arcaiche si potevano accumulare grandi ricchezze solo sottraendole agli altri, quindi impoverendoli, e non, invece, producendone in abbondanza. Caccia-raccolta, pastorizia, agricoltura – le economie di sussistenza praticate per millenni – includono perciò come fattore strutturale, vale a dire necessario e non marginale o occasionale, la guerra di conquista, per il possesso di terre fertili, pascoli, sorgenti, acque pescose, e a scopo di razzia e saccheggio, di beni, raccolti, bestiame e anche di persone. Un altro fattore produttivo strutturale è infatti la schiavitù che serve ad acquisire forza lavoro e riproduttiva, sottraendola ai rivali. In tali contesti vita e morte, abbondanza e carestia dipendono, oltre che dagli andamenti climatici ai quali il bassissimo livello tecnologico non consente di rimediare, dalla disponibilità di molte braccia giovani, in grado di lavorare, razziare, conquistare e far fronte alle aggressioni delle comunità concorrenti. Per garantirsi sempre nuove braccia, ogni gruppo umano ha bisogno di donne. La società si organizza quindi in unità patriarcali che le assoggettano per disporre delle loro preziose facoltà procreative e amministrarle a discrezione e nell’interesse della comunità. L’ossessivo bisogno di organizzare e controllare la procreazione viene meno con l’affermarsi delle economie di produzione e soprattutto del capitalismo che aumenta straordinariamente la produttività del lavoro: disporre di tante donne e dei loro figli non è più il solo modo per una comunità di assicurarsi le risorse necessarie. Tre rivoluzioni – scientifica, tecnologica, industriale – forniscono al modo di produzione capitalistico le condizioni e gli strumenti per realizzarsi e due secoli or sono, tra il 1815 e il 1830, in Europa e nell'America Settentrionale le nuove, immense risorse disponibili incominciano a essere usate in modo costruttivo. Così si afferma una civiltà – l’Occidente – che è capace di progressi scientifici, tecnologici e produttivi incomparabilmente superiori a quelli di ogni altra società e che – unica nella storia umana – considera giusto solo un mondo in cui tutti abbiano pari opportunità di contribuire al progresso materiale, intellettuale e morale dell’umanità e di goderne i frutti. Nel resto del pianeta questo non è accaduto. |