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inserito il: 16-3-2010
AFRICA: DIECI ANNI PER NON MORIRE

“Per chi fa il mio mestiere il contenuto del Rapporto dell’Onu non è certo nuovo, ma credo valga valorizzata l’opportunità che oggi hanno i paesi in via di sviluppo per sfruttare il dividendo demografico”. E’ quanto afferma il professor Giancarlo Blangiardo, docente di Demografia all’Università di Milano Bicocca, commentando il recente Rapporto dell'ONU sull'invecchiamento della popolazione. Un aspetto originale di questo rapporto riguarda prioprio i paesi in via di sviluppo, dove il fenomeno dell'invecchiamento, già presente, promette di avere effettimolto gravi nei prossimi anni.
  
Professor Blangiardo, cosa si intende per dividendo demografico, e come sfruttarlo?
Oggi i Paesi poveri hanno ancora un rapporto ottimale fra popolazione in età produttiva e popolazione dipendente, anziani e bambini. E’ un rapporto che proprio per la tendenza messa in evidenza dal rapporto diventerà sfavorevole negli anni a venire. Per cui è importante intervenire adesso con decisione.

In che modo?
Il capitale umano è abbondante; le materie prime ci sono; il lavoro potenzialmente c’è; e anche i costi dei servizi sociali, data la situazione di questi Paesi, sono molto contenuti. E’ quindi un momento particolarmente favorevole, una finestra che potremmo indicare all’incirca in un decennio.

Cosa manca allora?
Manca  il capitale per far decollare lo sviluppo, investimenti mirati allo sviluppo. E’ necessario che il lavoro diventi produttivo ed è questa la strada che va intrapresa con urgenza. E per far questo bisogna uscire da una logica assistenziale, dall’aiuto umanitario d’emergenza. C’è bisogno di far decollare queste economie.

Noi parliamo genericamente di Paesi in via di sviluppo, ma sappiamo che le situazioni demografiche sono molto diverse da regione a regione.
In effetti gran parte dei Paesi asiatici e l’America Latina hanno dinamiche demografiche che si avvicinano molto di più a quanto avviene in Europa, Nord America e Giappone. Il discorso che ho fatto prima si adatta invece molto bene alla situazione dei Paesi più poveri, soprattutto l’Africa.

Si stima che l’Africa abbia appena raggiunto il miliardo di persone, potrebbero sfiorare i 2 miliardi nel 2050.
Questo è certamente il Continente demograficamente più dinamico, è quello che vedrà la crescita maggiore di popolazione nei prossimi decenni. Per questo è importante sfruttare questo momento propizio, questa finestra temporanea, altrimenti arriverà un’onda demografica devastante. Io credo che lo sviluppo dell’Africa dovrebbe essere considerato una emergenza mondiale. E’ anche una questione di brutale convenienza.

Cosa intende dire?
Che se l’Africa non sarà aiutata a svilupparsi, l’unica strada possibile agli africani per risolvere il problema sarà l’emigrazione, ma in dimensioni tali da diventare una minaccia agli equilibri del pianeta. Oggi l’immigrazione africana in Europa è relativamente modesta, ma dietro l’angolo, quando si prosciugherà il serbatoio di immigrati dall’Est Europa, sia per lo sviluppo sia per lo scarso dinamismo demografico, l’immigrazione dall’Africa potrebbe non solo sostituire quella est-europea ma diventare un fenomeno incontrollabile. Per questo, e non solo per motivi morali, è importante aiutare l’Africa immediatamente a sfruttare questa finestra demografica.

Qualcuno pensa che l’immigrazione possa risolvere i nostri problemi di bassa fertilità, non solo riempiendo i vuoti lasciati da noi, ma anche per il comportamento demografico che potrebbe alzare la media dei nostri tassi di fertilità.
E’ un ragionamento smentito dalla realtà, perché già oggi vediamo che le famiglie di immigrati che provengono da Paesi con più alti tassi di fertilità, tendono rapidamente ad adeguarsi ai nostri livelli. Quindi è un discorso sbagliato e anche un’illusione pericolosa.  

Secondo il Rapporto dell’Onu, il drastico calo di fertilità nei Paesi poveri  è un fattore decisivo in questo processo di accelerazione dell’invecchiamento.
Nel processo di invecchiamento c’è anzitutto un fatto strutturale. Vale a dire che a un certo punto accedono al mondo degli anziani le generazioni nate in anni di forte dinamismo demografico, così come accadrà all’Italia con le generazioni del baby-boom. Inoltre bisogna tener conto che i movimenti demografici sono di lungo periodo, e in questo anche il calo della fertilità gioca un suo ruolo. C’è comunque un modo relativamente veloce per provocare un’azione di ringiovanimento nei Paesi poveri: abbassare la mortalità infantile, che oggi è a livelli altissimi, ed è una cosa che certamente sta bene a tutti. Anche in questo senso è prioritario un rapido processo di sviluppo.

Eppure, le stesse agenzie dell’Onu, oltre agli Usa e all’Unione Europea, insistono nell’investire in controllo delle nascite, aggravando così i problemi.
E’ la continuazione di un atteggiamento che viene da lontano, che non ha basi demografiche ma ideologiche. Per questo si continua su questa strada. Ma anche ammesso che ci fosse la necessità di diminuire la popolazione, non si può intervenire dall’oggi al domani con bruschi cambiamenti. Chi ci ha provato, come la Cina e la Romania di Ceausescu, ha provocato disastri.

Un’ultima cosa riguarda i nostri Paesi sviluppati. Qui ormai l’invecchiamento della popolazione è un fatto consolidato e gli effetti negativi già da tempo si fanno sentire. Cosa si può fare?
Cambiare radicalmente la situazione ovviamente non è possibile. E’ importante però trovare nuovi equilibri e per fare questo si deve anzitutto gestire le tendenze in atto e, in secondo luogo,  correggerle per quanto è possibile. Gestire vuol dire modificare le regole del vivere sociale: recuperare l’anziano attivo, facilitare il suo  accesso al mercato del lavoro, alzare l’età pensionabile e così via. Quanto alla correzione, sarebbe importante almeno aiutare a risollevare il tasso di fertilità, rimuovendo gli ostacoli che impediscono oggi alle coppie di avere almeno i figli desiderati. E senza contare sull’importazione di immigrati.