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inserito il: 11-3-2010
NIGERIA, SCONTRI FIGLI DEL SOTTOSVILUPPO
di Anna Bono

Classificare come scontro di religione il massacro verificatosi pochi giorni or sono nello stato di Plateau, Nigeria, non rende conto della complessità dei conflitti in corso in quel paese e in tutto il continente africano e quindi non aiuta a trovare delle soluzioni definitive.

Sono effettivamente musulmani i pastori di etnia Fulani che nella notte tra il 6 e il 7 marzo, armati di panga (lunghi coltelli simili alle roncole), hanno attaccato tre villaggi non lontani dalla capitale dello stato, Jos, hanno costretto gli abitanti a uscire dalle loro case e ne hanno fatto strage, saccheggiando e distruggendo poi abitazioni e beni mentre i sopravvissuti si rifugiavano nei dintorni. E sono tutti cristiani gli uomini, le donne e i numerosi bambini uccisi e feriti (forse 500 persone): quella Berom alla quale appartenevano è un’etnia di agricoltori di religione cristiana.

I Fulani residenti nel Plateau sono originari degli stati settentrionali del paese, a maggioranza islamica, alcuni dei quali all’inizio del secolo hanno adottato la legge coranica. I Berom, autoctoni, fanno parte del gruppo delle etnie convertite al cristianesimo, concentrate negli stati meridionali della federazione.

Dal nord arrivano anche gli Hausa, anch’essi islamici, protagonisti a metà gennaio di scontri con la popolazione autoctona cristiana a Jos dove, durante i disordini, sono stati saccheggiati, distrutti e incendiati diversi esercizi commerciali, 500 persone sono morte e migliaia sono fuggite nelle campagne circostanti. Allora la causa scatenante sembra siano stati dei contrasti in merito alla ricostruzione di alcuni edifici di proprietà di famiglie Hausa distrutte nel novembre del 2008 durante analoghi disordini costati la vita a 400 persone. Forse all’origine dell’incursione Fulani dei giorni scorsi vi è invece l’improvvisa destituzione di un funzionario addetto alla sicurezza nazionale ordinata dalla presidenza della repubblica.

Al di là della causa occasionale, una conflittualità endemica divide le etnie del nord e del sud: la strage dei Berom è l’ultimo di una serie infinita di episodi di violenza. A Jos, la capitale del Plateau, la posta in gioco è il controllo politico ed economico della città. Nelle aree rurali il motivo di conflitto è l’incessante contesa per le sorgenti, i pascoli, le terre coltivabili.

Per questo hanno ragione l’arcivescovo di Jos, Monsignor Ignatius Ayau Kaigama, e quello della capitale federale Abuja, Monsignor John Olorunfemi Onaiyekan, quando affermano che non si tratta di scontri di religione: a muovere i contendenti non è in questo caso la fede diversa e l’obiettivo di imporla al resto della popolazione o di indurre con l’intimidazione e la forza gli infedeli ad andarsene. Non che in Nigeria manchino gli scontri così motivati. Fu il caso delle violenze del 2002, scatenate da un’accusa di blasfemia rivolta a un giornalista che aveva scritto parole giudicate irriverenti a proposito di Maometto in occasione del concorso di Miss Mondo che avrebbe dovuto concludersi in Nigeria, e nel 2006, dopo la pubblicazione in Danimarca delle vignette satiriche sul Profeta che provocarono manifestazioni di protesta in tutto il pianeta.

“Quello a cui si assiste – ha spiegato l’arcivescovo di Abuja – è il più classico dei conflitti tra pastori e agricoltori”. Di sicuro la diversa fede religiosa non migliora i rapporti, soprattutto dove e quando ostilità e antagonismi millenari vengono esasperati da una visione integralista e intollerante dell’islam.

Ma i pastori e gli agricoltori africani si scontravano assai prima che la colonizzazione arabo islamica e l’impatto con l’Occidente cristiano introducessero ulteriori fattori di divisione in una realtà strutturata sulla base dell’appartenenza etnica.

La guerra – di rapina, per integrare con la razzia risorse cronicamente scarse, e di conquista, per assicurarsi fonti naturali di sostentamento indispensabili – è un elemento strutturale delle economie di sussistenza caratterizzate da una produttività estremamente limitata. Questo fa dire agli storici che il conflitto inter e intra tribale (quindi non solo tra agricoltori e pastori) per il controllo delle risorse naturali e umane è il fattore dinamico della storia africana (Moffa, 1993). Nei secoli questo ha determinato la quasi totale scomparsa delle popolazioni più deboli – quelle che vivevano di caccia e raccolta – sopraffatte, sterminate e relegate nei territori più inospitali: le fitte foreste equatoriali e i deserti.
A partire dalle indipendenze, etnie, clan e lignaggi lottano inoltre per il controllo dell’apparato statale, dai vertici alla più piccola amministrazione locale, e, nei centri urbani, per quello delle attività economiche del cosiddetto settore informale, nuova forma assunta dal modo di produzione di sussistenza.

Il mancato sviluppo economico è la causa fondamentale delle tensioni persistenti. Dall’indipendenza in Nigeria si sono avvicendati regimi corrotti e irresponsabili che hanno dilapidato le ricchezze astronomiche derivanti dallo sfruttamento dei giacimenti di petrolio. Per decenni, fino al 2008, la Nigeria è stato il primo produttore di greggio dell’Africa subsahariana, tuttora superato soltanto dall’Angola. Tuttavia il 70% della popolazione nigeriana vive con meno di un dollaro al giorno.