Il rischio di contrarre il virus Hiv usando i preservativi durante i rapporti sessuali è nell’ordine del 15%. Questa conclusione è contenuta in uno studio pubblicato dalla nota rivista scientifica britannica “The Lancet” nel 2000. E’ una prima conferma scientifica di quanto affermato da papa Benedetto XVI la settimana scorsa in Africa, ovvero che l’Aids non si sconfigge distribuendo i preservativi, ma attraverso un’educazione alla dignità umana. A sostenere la correttezza scientifica della posizione del Papa non è dunque soltanto Edward Green, lo studioso di Harvard le cui posizioni sono abbastanza note. Al contrario, sfogliando le riviste scientifiche e mediche di questi 20 anni di lotta all’Aids, troviamo numerose conferme alla fallibilità dei profilattici. L’effetto cinture di sicurezza. Riprendendo il citato articolo del Lancet (John Richens, John Imrie, Andrew Copas, Condoms and seat belts: the parallels and the lessons, 29 gennaio 2000, volume 355, numero 9201) si fa un interessante parallelo con le cinture di sicurezza per gli incidenti automobilistici, che anche loro non hanno portato i benefici sperati. In pratica, dicono gli autori dello studio, il senso di sicurezza moltiplica i comportamenti a rischio. E’ il fenomeno noto come “teoria della compensazione del rischio”. Nel caso dei preservativi la colpa è di chi sostiene siano “la” soluzione definitiva del problema, inducendo perciò un senso di falsa sicurezza che moltiplica i rapporti promiscui, principale causa della diffusione della malattia. Ciò è dimostrato dal fatto, si sostiene ancora nello studio, che in Africa i Paesi con maggiore diffusione dei preservativi – Zimbabwe, Botswana, Sudafrica e Kenya - sono anche quelli con i tassi di sieropositività più alti. “L’efficacia del preservativo – concludono i ricercatori – è legata soltanto al reale cambiamento dei comportamenti a rischio”. Preservativo troppo rischioso. Sui tassi di inefficacia del profilattico concordano una miriade di studi. Secondo S. Weller e K. Davis (Condom Effectiveness in Reducing Heterosexual HIV Transmission, Family Planning Perspective nov.-dic. 1999, studio poi aggiornato nel 2004) l’efficacia del preservativo nel prevenire la trasmissione dell’Hiv è stimabile intorno all’87%, ma può variare dal 60 al 96%). Dati confermati anche dallo studio di J. Trussell e K. Yost raccolto nel volume Contraceptive Technology, (Ardent Media, 1998) e presentati – senza che si levassero voci scandalizzate – alla Conferenza Onu di Rio de Janeiro il 26 luglio 2005. Ancora su Family Planning Perspective (una rivista scientifica dell’Alan Guttmacher Institute, emanazione dell’organizzazione abortista International Planned Parenthood Federation), nel numero di gennaio-febbraio 1992 viene citato uno studio della dott.ssa Margaret Fishel secondo cui in coppie sposate con un partner sieropositivo, l’uso del preservativo come protezione ha prodotto l’infezione dell’altro partner nel giro di un anno e mezzo nel 17% dei casi. Perché i preservativi non funzionano. Uno studio presentato nel 1990 sul British Journal of Family Planning (E.J.E. Kirkman-J. Morris-A.M.C. Webb, User Experience: Mates v. Nuforms) mostra che in un test effettuato in Inghilterra nel 52% dei casi, gli utilizzatori del profilattico ne hanno sperimentato la rottura o lo scivolamento. C.M. Roland, scienziato esperto del lattice e direttore di Rubber Chemistry Land Technology, spiegava in una lettera pubblicata dal Washington Times il 22 aprile 1992, che già nella prevenzione delle gravidanze si registra un 12% di fallibilità malgrado i pori del lattice (5 micron) siano 10 volte più piccoli dello sperma. Fallibilità che aumenta esponenzialmente nel caso del virus dell’Aids perché questo ha una dimensione di 0,1 micron, ovvero può facilmente trovare un passaggio nel profilattico anche ipotizzando un suo uso ottimale. Per questo motivo alla V Conferenza Mondiale sull’Aids di Monttreal, qualcuno ha proposto di usare due preservativi contemporaneamente. Questi rischi, dimostra l’esperienza, sono ancora più elevati in Africa perché il caldo e le modalità di conservazione dei profilattici contribuiscono notevolmente a deteriorare il lattice. Il metodo ABC. Sono ancora gli studi scientifici a dimostrare che l’unica arma che funziona contro il virus dell’Aids è l’educazione alla integralità dell’uomo, che in termini di strategie è stata tradotta in A (Astinenza), B (Be faithful, ovvero fedeltà a un unico partner), C (condom, preservativo), dove l’accento è messo soprattutto su A e B. E’ il caso dell’Uganda, l’unico Paese dove si sia riscontrata una diminuzione nel tasso di incidenza dell’epidemia, a dimostrare la bontà di questo approccio, scelto dal presidente Museveni già all’inizio degli anni ’90. E’ anche l’esperienza che ha convinto il già citato Edward Green, diventato il più noto sostenitore del metodo ABC dopo essere stato per anni un convinto sostenitore del “preservativo come soluzione”. Secondo un rapporto di UsAid (l’agenzia governativa statunitense che si occupa di aiuti allo sviluppo) in 15 anni c’è stata una riduzione nel tasso di infezioni del 75% nel gruppo di età tra i 15 e i 19 anni, del 60% tra i 20 e i 24 anni, e del 54% nel suo complesso. E questo perché è stato ridotto del 65% il sesso con partner casuali. Conclusione condivisa dalla rivista Science con un articolo pubblicato il 30 aprile 2004 (Rand L. Stoneburner-Daniel Low-Beer, Population-Level HIV Declines and Behavioural Risk Avoidance in Uganda) in cui si esclude che l’uso dei profilattici abbia avuto un ruolo significativo nella positiva evoluzione. Dato ulteriormente confermato dalla lunga ricerca sul campo - in Africa - di Helen Epstein, che ha raccolto i dati nel libro pubblicato nel 2007 The Invisible Cure: Africa, the West and the Fight against Aids (La cura invisibile: l’Africa, l’Occidente e la lotta contro l’Aids), in cui attacca l’Occidente perché si ostina a ignorare che l’unica strategia che funziona contro l’Aids è, appunto, la “cura invisibile”, ovvero l’educazione, il cambiamento dei comportamenti sessuali.
|