Area geografica
Chiave di ricerca
Home
Ambiente
Sviluppo
Popolazione
 
Chi siamo
Dossier
Documenti
Associazioni
Contatti
 
Iscriviti alla newsletter
 
Che tempo farà
 
 
Versione Stampabile
inserito il: 30-3-2009
AFRICA E CLIMA, UN ALTRO TENTATIVO DI ESTORSIONE
di Anna Bono

Dal 24 al 27 marzo si è tenuto a Nairobi, Kenya, un summit dei paesi dell’Africa Orientale (oltre al Kenya, Tanzania, Rwanda, Uganda e Burundi). Doveva trattare di sanità e scienza, ma i ricercatori e i funzionari governativi convenuti nella capitale kenyana ne hanno approfittato per parlare del cambiamento climatico: ultimo in ordine di tempo di una serie di fattori ritenuti di volta in volta i principali responsabili di instabilità, conflitti e povertà dal ‘terzomondismo’, l’ideologia che da decenni orienta le scuole di studi e analisi sul sottosviluppo imperanti nelle accademie e nel mondo del volontariato e della cooperazione internazionale.

Sarebbe utile in effetti ricostruire il susseguirsi dei fattori di mancato sviluppo africano individuati dal terzomondismo. Per anni, ad esempio, la crescita demografica è stata considerata il nemico da battere (e colpa dell’Occidente non stanziare abbastanza fondi per il controllo delle nascite), ma c’è stato anche il periodo del debito estero e quello delle multinazionali. Prima ancora c’era stata l’epoca in cui non si parlava che di neocolonialismo.

Alle cause di mancato sviluppo del momento, per così dire di “tendenza”, si devono poi aggiungere quelle “evergreen”, ovvero la tratta atlantica degli schiavi e la colonizzazione europea: o meglio, “la tratta degli schiavi” e “la colonizzazione”, senza aggettivi specificanti.

I convinti assertori che l’impatto tra Europa e Africa sia all’origine dei mali di questo continente non prendono infatti nemmeno in considerazione (e molti in verità ignorano) l’esistenza di altre tratte e di altre colonizzazioni. Così restano nell’ombra la tratta araba degli schiavi (tuttora non del tutto scomparsa) e le due prime colonizzazioni continentali: quella delle popolazioni bantu dedite all’agricoltura, che nel corso dei secoli hanno sterminato e costretto nei territori più inospitali i pastori transumanti e i cacciatori-raccoglitori, e quella arabo-islamica, penetrata a partire dal VII secolo in tutto il nord africano e poi in estese aree sub-sahariane, assoggettandone gli abitanti.

La ragione per cui questi eventi non vengono considerati e per cui non ci si domanda se abbiano ostacolato lo sviluppo dell’Africa è che i terzomondisti escludono l’esistenza nei paesi in via di sviluppo e a maggior ragione in Africa di fondamentali cause di povertà interne o comunque altre dall’Occidente: la loro missione, perseguita a costo di omissioni e falsificazioni anche estreme della realtà, è convincere il pubblico che l’Occidente è colpevole di tutti i problemi che affliggono il resto del pianeta e che tocca ai suoi abitanti rimediare.

Tornando al summit di Nairobi, siccome la “colpa” del momento è il global warming, l’incontro si è concluso con la pubblicazione di un appello nel quale si afferma che insicurezza alimentare e deterioramento della pace della regione dell’Africa Orientale potranno ulteriormente aggravarsi se non si adotteranno al più presto iniziative contro le conseguenze del cambiamento climatico provocato dall’inquinamento causato – appunto – dai paesi industrializzati dell’Occidente: l’inquinamento – ha spiegato il vice-primo ministro del Kenya Kalonzo Musyoka al termine della conferenza – ha un impatto diretto su “povertà, sicurezza alimentare, crescita economica, diritti umani, giustizia ed equità sociale”. Quindi “i paesi industrializzati devono assumersi maggiori responsabilità e adottare con urgenza le misure necessarie per ridurre le emissioni inquinanti nell’atmosfera e aiutare i paesi in via di sviluppo a raggiungere gli Obiettivi del Millennio”.

Che le variazioni climatiche siano un fenomeno costante con cui l’umanità fa i conti dalle sue origini, che sia impossibile prevederne gli andamenti, che esse non dipendano in maniera significativa da fattori antropici, che non sempre costituiscano una minaccia, ma possano al contrario favorire l’esistenza della vita sulla Terra e infine che, per conseguenza, non sia dato sapere se occorre davvero stanziare denaro per proteggere gli africani da eventuali danni ambientali: tutte queste sono verità irrilevanti per coloro ai quali preme accusare i paesi industrializzati ed estorcerne denaro.
A sostegno dell’eco-propaganda antioccidentale purtroppo non mancano le iniziative.

Sabato 28 marzo, a poche ore dalla fine della conferenza di Nairobi, è iniziata l’edizione 2009 della Earth Hour, la campagna mondiale di sensibilizzazione contro la “crisi climatica” lanciata per la prima volta dal Wwf due anni fa in Australia e consistente in un black out volontario di 60 minuti al calar della sera. Quest’anno pare abbia coinvolto circa un miliardo di persone ottenendo l’adesione di 2.848 città in 83 stati, in ciascuno dei quali alle 20.30 ora locale sono state spente le luci di monumenti e luoghi simbolo della civiltà: dalla Torre di Pisa in Italia al Cristo Redentore di Rio de Janeiro in Brasile alla Tour Eiffel in Francia.

È possibile che molte delle persone che sabato sera percorrevano piazze e vie cittadine non sapessero di questa iniziativa e, se hanno notato le luci spente, avranno pensato a un guasto elettrico. In compenso l’Earth Hour ha dato un argomento in più a chi pensa che se in Africa non c’è paese senza profughi, bambini di strada, matrimoni infantili, conflitti tribali e corruzione la colpa è del global warming e dell’insostenibile sviluppo occidentale.